sălūs
[sălūs], salutis
sostantivo femminile III declinazione
1 salute
2 salvezza, mezzo di salvezza, via di scampo
3 benessere, prosperità
4 (di uno Stato o popolo) sicurezza dei cittadini, conservazione dei diritti civili
5 saluto
6 vita

Il termine latino salus viene generalmente tradotto con ‘salvezza’, nonostante la maggiore familiarità con la parola italiana ‘salute’. Assume, talvolta, significato di ‘vita’, ma possiamo considerarli interscambiabili?
Dobbiamo.
Tutto chiede salvezza ne è la prova. Daniele Mencarelli, protagonista e voce narrante del romanzo, viene sottoposto a TSO dopo un episodio di violenza domestica; una settimana, vissuta come una trincea, nel reparto di psichiatria dove la speranza per tutti è una sola: salvarsi. Daniele ha venti anni, è alcolizzato e disinnesca attraverso l’alcol il dolore che lo circonda. Come lui, i suoi compagni di stanza sono affetti da problematiche diverse ma tutte riconducibili alla stessa incapacità di affrontare la vita senza esserne schiacciati. La vera malattia di Mencarelli è l’umanità che lo piega quando tocca il dolore degli altri, l’impossibilità di osservarlo senza volerlo comprendere, rimanendone intrappolato. La sua voce è quella da poeta, di chi cerca il significato profondo degli eventi pur rischiando di morire di asfissia, per essere scesi troppo in basso. Daniele è impotente di fronte al mostro che è diventato, dinnanzi al male che sa di fare ai suoi familiari e che, se potesse, toglierebbe loro per darsi frustate da solo. Non riesce, si sente in colpa e trova rimedio solo perdendo consapevolezza. All’interno del reparto, tuttavia, incrocia le vite sbadate di quelli che, come lui, hanno riposto alle cannonate dell’esistenza con l’autodistruzione: sente di poter condividere e di poter capire ed essere capito. La salvezza temporanea del reparto, però, è una nuvola di fumo: basta aprirne l’uscio per rendersi conto che ‘quelli come lui ’ sono come fiere tenute in gabbia: vanno ammansiti e tenuti buoni, in quanto mine vaganti. Daniele chiede salvezza; a se stesso, ai dottori che lo visitano e agli infermieri, ma sa da solo che quello di cui ha bisogno non potrà essere prescritto in un foglio di ricetta medica. La salvezza che rincorre è davvero una malattia? Se fosse riuscito a convivere con le sue domande senza diventare alcolizzato, Daniele sarebbe stato sottoposto a TSO? Quale è il vero morbo che affligge lui come molti di noi, soprattutto ragazzi? Il senso profondo di inadeguatezza a cui siamo educati sin da piccoli. Ci manca spesso lo slancio adolescenziale che, in una certa fase, dovrebbe subentrare per farci capire che da soli, senza mamma, senza papà, senza amici, solo noi, valiamo qualcosa. Invece no, siamo indirizzati a credere che avremo sempre bisogno di qualcuno che ci spieghi la vita, il lavoro, l’amore, la legge perché da soli non possiamo farcela. Dilagano allora i disturbi più comuni, a volte nascosti sotto apparenze di vita plasticamente perfette: belle foto, bei vestiti, serate alcoliche, belle macchine e poi dentro il nulla. La dipendenza di Daniele è il coraggio di riconoscersi diversi dalla tendenza a subire la vita e, tuttavia, l’ignavia di non riuscirne a fare di questo un punto di forza. Eppure, ci si può salvare; dai disturbi alimentari, dalle dipendenze, dall’alcolismo: tutti possiamo chiedere salvezza. Lui la catalizza nella scrittura, ognuno ha infiniti strumenti per farlo. Tutto chiede salvezza ci sbatte in faccia una dolorosa verità: possiamo sempre scegliere di salvarci da noi stessi e, se non riusciamo inizialmente a farlo per sano egoismo, possiamo riuscirci in nome di chi ci vuole bene e che, inevitabilmente, costringiamo a soffrire con noi. L’empatia maledetta che ci distrugge si può tramutare in arma potentissima e, se non vogliamo chiedere salvezza per noi, dobbiamo farlo per chi ci è di più caro.
Giovanna Maria Guastini

Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli (Mondadori 2020)